giovedì 21 agosto 2014

2014 08 21 - Le pensioni. Dalla welfare review alla dignità minima.



Mi hanno suggerito di prestare attenzione anche alla questione pensioni. In effetti finora non lo avevo fatto.
E mi rendo conto che ho sbagliato.
Perché di nuovo vedo un principio di casino. Mi hanno segnalato due articoli che riporto in coda integralmente.
Ben fatti, documentati e tecnici. Si capisce la questione.
Ma io devo sempre mettere il naso un po’ più in la.
E vorrei precisare alcuni fatti specifici, rispetto a quelli evidenziati negli articoli.
A rinforzo le solite tabelle.

Miopia strategica
La prima tabella è semplicemente un riepilogo, per avere chiari in mente gli ordini di grandezza e i numeri.

In generale, sul tema di possibili tassazioni aggiuntive sulle pensioni, mi pare purtroppo di riscontrare la solita mancanza di strategia.
Si naviga a vista, e quando servono soldi la leva è sempre la stessa : giocare sulla cosa più facile.
Le tasse. Che siano sul lavoro o sulle pensioni poco importa. Basta che qualcuno paghi.
Oggi uno, domani un altro.
Tanto nel tempo tutto si dimentica.
Basta giocare a “rotazione frazionata”. Piccoli importi un po’ di qua un po’ di la. E’ una scienza, sapete. La insegnano nelle università.
Potremmo ribattezzarla “scienza delle finanze nano(a)nale”. Perchè più che una scienza a me sembra proprio una pratica degna delle famose 120 giornate.
Il punto comunque è proprio che la riscossione è facile facile.
Delegata ai sostituti di imposta, basta schiacciare un “click” e subito parte la raffica.
Passa la stessa differenza che passa tra pescare a traina o a strascico.
O andare a caccia (pratica davvero neandertaliana) col fucile di precisione o con quello a pallettoni: con il secondo non devo nemmeno sapere mirare.
E’ istantanea e becca tutti.

Dignità e progressività
Il vero nocciolo, secondo me è però un altro.


Osservando i dati, che ho raggruppato in soli 3 scaglioni, vedo 15 milioni di pensioni di importo fino a 1.000 euro/mese.
Ma la media tra importo totale e numerodi pensioni, per quella classe, è pari 504 euro lordi al mese.
Vergognoso chiamarle pensioni.
Sono una mancia. Offensiva di qualsiasi dignità.
Non sarebbe meglio, o doveroso, fare riferimento alla sacrosanta progressività e i 7 miliardi di ipotetica maggiore Irpef (anche calcolati a fondo tabella) destinarli a quei 15 milioni di pensioni troppo basse ?
Su 91 miliardi di lordo, fa il 7%. Che su 504 euro mese sono 35 euro al mese lordi.
Probabilmente si penserà che 35 euro sono intangibili, ma chi lo pensa perché non prova per un mese a vivere con 500 euro lordi? Anzi dovrebbero inserirlo nei training degli iscritti ai partiti.
Si vedrà che quando arriva il 23 del mese, quei 35 euro servono eccome.
Vi assicuro che è una guerra. Io ci provo da alcuni mesi, e anche se sono pure sceso sotto i 1.000 euro (netti), per me è solo un esercizio. Senza contare che ho la casa pagata perché di proprietà.
Però almeno mi sono reso conto del problema.
Ho osservato le vecchiette al supermercato.
Per imparare cosa si deve fare operativamente per “starci dentro”.
Come quando si rinuncia a mangiare non solo la carne, ma addirittura il formaggio.
E si ritorna all’economia di guerra. Verze e patate.
E 15 milioni sono tanti. E’ un esercito di poveri. Che dovrebbe fare pensare tutti quanti.
Pertanto, la vera questione non è se tassare di più le pensioni più alte per spendersi gli introiti.
La questione è se tassarle per aiutare i più poveri.
Se poi volessimo esagerare, e quelle pensioni sopra i 2.000 euro le volessimo tassare un pochino di più, potremmo arrivare a 10 miliardi di maggiori entrate, pari addirittura a 60 euro al mese per ciascuno dei 15 milioni di poveri.
Di seguito ho riportato il dettaglio della terza classe calcolata nella mia tabella precedente (colonne C, G, O, S).
Balza all’occhio che ci sono 665.000 pensioni sopra i 3.000 euro mese. Manco a farlo apposta 110.000 in Lazio e 128.000 in Lombardia.
E queste 665.000 costano 35 miliardi, per una media di 53.000 euro anno/anno.
Per questo ho fatto un esercizio teorico, nel riquadretto in basso, per vedere con un 12% medio di Irpef in più, cosa si portava a casa.
Senza contare che queste pensioni elevate nasconderanno molto probabilmente personaggi anche dotati di società offshore o altre forme di risparmio occulto.
Ne ho conosciuti alcuni personalmente.


Ultima considerazione.
Forse è irrilevante, ma il numero di pensioni sul totale abitanti per regione è molto variabile.
Si guardino le colonne I e L della seconda delle 3 tabelle di questo scritto
Va da un minimo del 33% ad un massimo del 48%.
Difficile non pensare che in questa forbice ci possano essere anche pensioni indebite.
Non credo che esista tanta varianza demografica, ma naturalmente è una considerazione da prendere con beneficio di inventario.




Pensioni, la tentazione dei tagli
I no della Consulta e i conti sbagliati
I dubbi sulla possibilità di ricalcoli. La metà dell’Irpef pesa su meno di 2 milioni di pensionati con assegni oltre 30mila euro: un contributo li penalizzerebbe due volte
di Alberto Brambilla (Docente Università Cattolica Milano Coordinatore Cts itinerari
Ci risiamo con il contributo di solidarietà sulle pensioni, solo che essendo in tempo di crisi siamo passati da quelle «d’oro» (sulle quali è in corso un prelievo) a non meglio identificate «pensioni alte»; essendo poi in clima di giochi europei si è evocata «l’asticella».
E così, nonostante tale contributo sia stato dichiarato anti- costituzionale, per la terza volta ci si ritenta; nel contempo la povera Inps ha prima mandato qualche centinaio di migliaia di lettere in cui comunicava ai pensionati (allora d’oro) che avrebbe applicato un prelievo di solidarietà (in pratica una tassa non prevista dagli schemi pensionistici vigenti) per ramazzare qualche euro, poi altrettante lettere per dire che avrebbe restituito il maltolto; subito dopo altrettante lettere per dire che ne avrebbe applicato uno nuovo.
Per il momento a guadagnare sono state solo le Poste. Su questo tema occorre buon senso e conoscenza della materia che la gran parte di coloro che oggi avanzano proposte, non sembra padroneggiare a pieno. Demagogia perché affrontare lo spinoso tema di chi non versa contributi e delle troppe pensioni a carico dello Stato è impopolare mentre prelevare a chi ha crea molti consensi. (GUARDA il grafico sul prelievo delle pensioni)

Prestazioni e categorie
Andiamo con ordine rispetto alle dichiarazioni fatte da esponenti di governo o vicini ad esso:
a) si è detto che tale contributo graverà solo sulle pensioni «retributive»; forse non si sa che oggi oltre il 98% delle pensioni sono retributive e quindi il balzello graverà su quasi tutte.
b) il contributo di solidarietà verrebbe applicato sulla differenza tra una pensione calcolata con il metodo contributivo e quella in pagamento che utilizza il più generoso metodo retributivo; purtroppo tale calcolo è a volte impossibile (soprattutto per le contribuzioni ante 1980 e per le categorie agricole e autonomi) e di difficile realizzazione per il semplice fatto che per molte categorie mancano estratti conti contributivi corretti come per i dipendenti pubblici, che peraltro hanno le prestazioni di gran lunga più generose.
c) E anche qualora si incaricasse l’Inps di fare questi calcoli su 23.431.000 prestazioni in pagamento riferite ai 16.561.600 pensionati (ogni pensionato in media prende 1,39 pensioni) si scoprirebbe che non solo il metodo retributivo ma l’intero sistema pensionistico è per gran parte assistenziale.

Metodo e promesse
Tutte le pensioni, chi più chi meno hanno importi superiori a quelli che deriverebbero dal calcolo dei contributi effettivamente versati a causa del metodo di calcolo retributivo (di Brodoliniana memoria) che incentivava a evadere i contributi tanto contavano solo gli ultimi 1 (per i pubblici) 5 o 10 anni; per tutte queste pensioni al di sotto di un importo variabile a secondo della categoria, c’è un contributo della Gias (Gestione interventi assistenziali a carico della fiscalità generale)-
Ben 4.733.031 prestazioni sono di natura assistenziale di cui 3.726.783 integrate al minimo e le altre con maggiorazioni sociali;
a queste vanno aggiunte oltre un milione di pensioni e assegni sociali e pensioni di guerra.
Trascurando i quasi 2 milioni di assegni di accompagnamento (che sarebbe utile verificare) su 16,561 milioni di pensionati quasi 6 milioni (il 36%) hanno pensioni integrate o con maggiorazioni sociali il che significa che in 65 anni di vita non sono riusciti a versare almeno 15 annualità complete di contributi (e quindi non hanno pagato neppure le tasse) e ciò in virtù del metodo retributivo e delle promesse dei vari governi.

Modello assistenziale e Irpef
La riprova la ritroviamo nei bilanci previdenziali:
su 274 miliardi di spesa pensionistica per il 2012, la quota a carico dello Stato e quindi di tutti noi è pari a 83,6 miliardi (oltre il 30%);
vale poi la pena di osservare che 8.602.164 prestazioni pensionistiche di natura assistenziale (integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali, assegni e pensioni sociali, pensioni di invalidità e di guerra, (in totale il 52% dei pensionati) sono esentati dal pagamento dell’Irpef mentre è plausibile stimare che circa il 50% dell’Irpef totale sulle pensioni (46 miliardi) pesi su meno di 2 milioni di pensionati con importi medi superiori a 30.000 euro lordi l’anno, proprio quelli sopra «l’asticella» che così verrebbero penalizzati due volte.
Fare riferimento all’articolo 38 della Costituzione è fuorviante in un Paese dove tra pensioni assistenziali e maggiorazioni sociali e invalidità civili la metà dei pensionati è assistita dallo Stato come se il nostro Paese fosse uscito da una guerra o da una catastrofe; la regola del 2% per ogni anno lavorato vale per redditi o stipendi entro i 45.000 euro lordi; sopra questi importi i coefficienti di calcolo utilizzati per determinare la pensione scendono a 1,5 - fino a 0,9; per una retribuzione di 100.000 euro lordi ( 51.000 euro netti) su un periodo di 40 anni il famoso 80% si riduce a poco più del 53% e questo, soprattutto per le alte professionalità. Chi insiste sui cosiddetti pensionati d’oro conosce questa regola?

La Cassazione e l’indicizzazione
Eventuali proposte tendenti a bloccare l’indicizzazione delle pensioni oltre un certo importo sono già state definite illegittime dalla Cassazione poiché, come dovrebbero sapere i proponenti, producono effetti per l’intero periodo di fruizione della pensione (se oggi deindicizzo una pensione da 90.000 euro lordi con inflazione al 2% provoco una riduzione nell’anno di 1.800 euro; se il pensionato percepirà la pensione per 15 anni il danno complessivo sarà di 1.800 x 15 anni cioè 27.000 euro più indicizzazione).

Giovani e debito
La soluzione più equa sarebbe l’applicazione di un contributo di solidarietà su tutte le pensioni retributive che cresce in modo proporzionale all’entità della prestazione; esempio fino a 700 euro al mese lordi 0,5% cioè 3,5 euro al mese ( tre caffè ) e poi in progressione fino a un 8%; per poi accelerare sulle pensioni tipo Banca d’Italia, fondi speciali e vitalizi di consiglieri regionali e parlamentari ancor più generosi del metodo retributivo.
Così facendo non si violano i principi di equità impositiva rendendo costituzionale la norma e si risarcisce la generazione giovane sottoposta al contributivo puro per colpa di sindacati e politici che fecero salvi tutti quelli che nel 1995 avevano più di 18 anni di contributi.
Considerando i 228 miliardi netti di prestazioni in pagamento si può pensare di reperire oltre 6 miliardi che però se vogliamo bene ai giovani, devono andare a riduzione del debito pubblico.
Se la misura fosse prevista per 5 anni e finalizzata alla riduzione del debito pubblico, tutti noi saremmo ben lieti di partecipare al risanamento del Paese e a favore delle giovani generazioni a cui, per inciso, lo Stato ha già previsto l’eliminazione di qualsiasi integrazione al minimo o maggiorazione sociale e per giunta non l’ha comunicato ai diretti interessati.

Il nodo della previdenza? L’evasione. Ecco i numeri. 18 agosto 2014 - 10:11
Il sistema costa oltre 83 miliardi ed è in disavanzo di oltre 20. Le erogazioni che fanno deragliare i conti. I trattamenti assistiti dallo Stato sono oltre 8,5 milioni, spesso frutto di attività «sommerse». Un intervento teso a far emergere il sommerso secondo alcuni calcoli porterebbe ad incassare nuovi contributi per oltre 16 miliardi l’anno
Nell’aumento dell’abnorme debito pubblico e nella continua crescita della spesa pubblica a livello centrale, un posto primario spetta alla spesa per il welfare pensionistico-assistenziale. Tanto più che la fotografia scattata dal Comitato tecnico scientifico di Itinerari previdenziali nel Rapporto 2014 sul «Bilancio del sistema previdenziale italiano», recentemente presentato al Governo, mette in evidenza anche un altro punto dolente del nostro Paese: la grande, capillare e diffusa evasione contributiva e fiscale che aggrava i bilanci pubblici.
Gli squilibri della previdenza
Iniziamo con il quadro contabile. Nel 2012 (l’ultimo anno disponibile) la spesa pensionistica complessiva (al netto della quota Gias, la Gestione degli interventi assistenziali pari a 31,766 miliardi di euro) ha raggiunto l’importo di 211 miliardi e 103 milioni, con un incremento del 3,3%, sull’anno precedente e del 6,2% sul 2010.
L’ammontare delle entrate contributive dalla produzione e dai trasferimenti Gias e Gpt (Gestione prestazioni temporanee) per coperture figurative, sgravi e agevolazioni contributive (al netto dell’apporto dello Stato alle Gestioni dei dipendenti pubblici, fissato per il 2012 in 10,5 miliardi) ha raggiunto l’importo di 190 miliardi e 404 milioni, in lieve crescita (+1,3%) rispetto al 2011, e con un incremento del 2,5% sul 2010. A differenza della spesa, la crescita delle entrate contributive, nonostante l’apporto delle gestioni assistenziali, è stata inferiore all’inflazione di periodo.
Il saldo tra entrate e uscite è negativo e il disavanzo complessivo di gestione ha raggiunto nel 2011 quota 16 miliardi e 328 milioni (con un incremento del 25,8% rispetto al disavanzo di 12,968 miliardi del 2010) e nel 2012 un disavanzo di 20 miliardi e 700 milioni (+26,8% circa rispetto al 2011).
Occorre qui evidenziare che in assenza dei rilevanti attivi dei saldi della Gestione lavoratori parasubordinati (+6,466 miliardi nel 2O11 e +7,083 miliardi nel 2012) e delle Gestioni delle casse dei liberi professionisti (+3,096 miliardi nel 2011 e +3,182 miliardi nel 2012) il disavanzo complessivo di sistema tra entrate e uscite sarebbe notevolmente peggiorato passando, per il 2011. da 16,33 a 25,89 miliardi e, per il 2012. da 20,7 a 30,97 miliardi.

Chi crea il deficit
Tra le principali gestioni che concorrono maggiormente alla formazione del deficit, al primo posto è la gestione dei dipendenti pubblici (ex Inpdap) che, al netto delle entrate corrispondenti alla contribuzione aggiuntiva a carico dello Stato (10,5 miliardi), ha evidenziato nel 2012, un disavanzo pari a 23,76 miliardi (19,858 nel 2011). Segue quella delle Ferrovie dello Stato che presenta per il 2O12 un disavanzo di 4,17 miliardi evidenziando l’effetto dirompente dei prepensionamenti (53.600 attivi e 232.000 pensionati): è come se ogni italiano, bambini compresi, oltre al costo del biglietto dovesse pagare un canone fisso di 70 euro. Infine la gestione dei lavoratori autonomi dell’agricoltura in totale costa circa 6 miliardi l’anno.

E come si paga il conto
Uno sguardo alla spesa a carico della fiscalità generale. Nel 2012, oltre ai citati 20,7 miliardi di disavanzo gestionale, per far fronte alle prestazioni in pagamento lo Stato ha trasferito all’Inps 31,766 miliardi per la Gias, più altri 10,306 miliardi di quota Gias sulle entrate, più 19,873 miliardi per le prestazioni di invalidità civile, per le pensioni e gli assegni sociali e per le pensioni di guerra a cui si deve sommare quasi un miliardo di arretrati. In totale la spesa a carico della fiscalità generale e quindi di tutti noi (almeno di quella metà scarsa di italiani che paga le tasse) è pari a 83,6 miliardi, equivalente al 5,44% del Prodotto interno lordo.

Il peso dell’assistenza
Il dato più eclatante e che spiega i pesanti numeri di bilancio lo troviamo nel numero delle prestazioni di natura assistenziale. Considerato che nel 2012 il numero di prestazioni in pagamento è pari a 23.431.000 e che invece il numero dei pensionati è di 16.561.600 (per cui ogni pensionato percepisce 1,4 prestazioni), i soggetti assistiti totalmente dallo Stato (per invalidità civile, pensioni e assegni sociali e pensioni di guerra) sono 3.869.133. Quelli parzialmente assistiti dallo Stato — ossia quanti percepiscono le integrazioni al minimo e le varie maggiorazioni sociali e la cosiddetta quattordicesima (sono persone che giunte a 65 anni di età hanno contribuzioni insufficienti che nemmeno arrivano al minimo) — sono 4.733.031. Nel complesso quindi le pensioni assistite sono in totale 8.602.164 per il 2012 (circa il 52% dei pensionati).

I conti del sommerso
In questi ultimi numeri sta il punto principale del problema: il sommerso di massa. Infatti se incrociamo i dati Irpef forniti dall’Agenzia delle Entrate per il 2012 risulta che la metà dei 41 milioni di contribuenti dichiara il 15% dell’Irpef totale (i primi 13,5 milioni non dichiarano quasi nulla). Poiché gli abitanti sono 60 milioni, il rapporto contribuenti/abitanti è pari a 1,463, vale a dire che la metà dei dichiaranti vale circa la metà della popolazione. Ora poiché è impensabile che la metà della popolazione italiana viva senza redditi o quasi (altrimenti saremmo in pieno Terzo mondo) è più probabile che ci sia una quantità di lavoro sommerso enorme che solo una seria politica di «contrasto di interessi» che da anni viene suggerita ai vari governi (5 in 8 anni) potrebbe risolvere. Per inciso la proposta porterebbe 1.500 euro l’anno ad ogni famiglia (ben più degli 80 al mese) e oltre 16 miliardi l’anno di nuovi contributi sociali. Il premier Matteo Renzi è svelto e forse è l’unico che può imporre alla burocrazia di Stato questo salto di qualità che peraltro migliorerebbe la crescita del Pil, l’occupazione, e ridurrebbe gli inesatti numeri sulla povertà relativa.
Autore: Alberto Brambilla, Coordinatore CTS Itinerari previdenziali e Docente Università Cattolica Milano – Corriere della Sera

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