Le Clofrenì
(Les Claufrenìes)
La Revoluzione delle Farfalle di Sopramezzo
Voi che non siete pronti e intanto io pago:
after today, consider me gone
Tu nel
sopramezzo, oltre la soglia,
e’
giunta l’ora, del tuo risveglio.
Dopo
tanto prendere senza rendere,
e’ giunta
l’ora del restituire.
Perenni
piccoli battiti d’ali quotidiani,
imperiture
reiterazioni senza dolore.
Senti la
forza della redistribuzione,
presidia
il ripetere, la tua coazione.
respira
coscienza tra le ali del vento,
sforza
neurone da ogni truffa e morale,
smetti
la giostra della tua ruota,
monta a
cavallo della normale.
Indice
2 PRIMA SEZIONE – Su alcuni principi generali
3 Voi che non siete pronti, e intanto io pago. Il diario di bordo delle claufrenies
Sono tre anni che tengo questo diario di bordo del viaggio
nella costruzione e slatentizzazione, o emersione, di quello che penso essere
il pensiero del futuro, su molti argomenti.
Siamo arrivati fino alle alte vette dei pensieri montani, quelli
cantati in:
E’ un privilegio.
Ma e’ anche una grande fatica, che spesso mi appare inutile.
E quindi e’ giunta l’ora che vi rendiate conto che l’ “e io
pago” prima o poi deve finire.
Sono tre i temi principali che lo rendono insostenibile.
- La zavorra farmacologica: depressione e letargia indotte.
- La comunicazione manipolatoria
- La comunicazione trasversale goccia a goccia.
Ma prima di parlarne ecco, il mio “j’accuse”.
Parlo in larga parte sulla base di mie esperienze dirette.
3.1 Il mio j’accuse. Voi che non siete pronti
Voi che non sapete spiegare
Voi che non sapete insegnare
Voi che non sapete imparare
Voi che non sapete parlare
Voi che non sapete comunicare
Voi che dovete spacciare dolore
Voi che dovete spacciare terrore
Voi che dovete spacciare fame
Voi che dovete dissimulare
Voi che dovete frustrare
Voi che dovete impaurire
Voi che dovete manipolare
Voi che dovete irretire
Voi che dovete schernire
Voi che dovete fare impazzire
Voi che dovete inventare malattie
Voi che dovete internare
Voi che dovete contenere
Voi che dovete sedare
Voi che dovete usare
Voi che dovete sfruttare
Voi che dovete fare tutto quello che fate
Voi che avete bisogno di tutte le vostre meschinerie
Voi che dopo migliaia di anni ancora dovete fare tutto ciò
Voi che nemmeno le vostre lauree, scienze e poteri bastano
Allora voi non siete casa mia
Allora voi siete in una cosa troppo grande per voi stessi
Allora voi siete troppo piccoli
Allora voi non siete preparati
Allora voi non siete pronti
E io sono troppo accomodante.
3.2 La zavorra farmacologica : depressione e letargia indotte.
Il primo tema e’ lo stato depressivo in cui sono
farmacologicamente indotto, con quetiapina e carbonato di litio, che mi fa
correre con una pesante zavorra chimica sulle spalle a beneficio della
possibilità di essere compreso e gestito da tutti, qualsiasi cosa ciò voglia
dire.
La quale possibilità tiene spesso aperta una porta che e’ più
un portone alla domanda : “si, ma se non frega un cazzo a nessuno, a me che
cazzo me ne frega?”
“Voi non capite, o non riuscite a guidarmi, o non so che. E
intanto io pago.”
La Quetiapina
appartiene ad un gruppo di neurolettici noti come antipsicotici atipici che interagisce con un
ampio spettro di recettori neurotrasmettitoriali.
Tuttavia l'effetto antipsicotico si pensa sia mediato tramite attività antagonista sui recettori di dopamina e serotonina.
Ergo, produce depressione, per dirla comprensibile a tutti
senza giri di paroloni manipolatori. Ndr.
Il carbonato di litio altera, tra le altre cose, la
conduttività del cervello ed e’ riconosciuto per le sue proprietà letargiche oltre
a essere anticonvulsivante, sedativo e ipnotico.
Ergo, produce letargia, sempre per dirla in soldoni Ndr.
Sono entrambi principi chimici velenosi, e sviluppano entrambi
i loro effetti, la depressione e la letargia, costanti nel tempo da anni.
Io non sono fatto così.
E’ ora che ve ne ricordiate. E intanto, io pago.
3.3 La comunicazione manipolatoria.
Il secondo tema e’ che la comunicazione di chi ruota intorno
a tutta questa faccenda, non solo e’ stata
a lungo criptica, ma ha anche operato in una costante attività di
manipolazione, secondo i canoni descritti in
2015 11 02 - La filastrocca epilecca -
La matrice officinale ai
versi 1996-2221 e allegati.
Forse a fin di un qualche bene, ma di certo oggi io non lo posso
sapere.
Le esperienze passate docent.
In ogni caso, la questione credo sia riconducibile ad un
principio di stimolazione di rete neurale, il che lascia sempre aperta la via
del dubbio su cosa si fa e cosa si pensa, che non si può mai inquadrare in un
principio di libero arbitrio con sufficiente certezza.
E mentre qualcuno stimola neuroni, o su scala maggiore
stimola pari tra i pari nella grande rete mondiale, ancora una volta vale il
principio umano, forse troppo umano, del doversi districare in ciò che e’
manipolatorio e ciò che non lo e’.
Potete stare sicuri che vi conosco e vi riconosco.
Ma ciò non toglie, anzi aggiunge, che anche in questo caso posso
soltanto dire : ”E intanto, io pago”.
3.4 La comunicazione trasversale goccia a goccia.
Il terzo tema e’ che la comunicazione diluita nel tempo e’
avvenuta per vie trasversali, in una per voi comoda progressiva
slatentizzazione dei segreti che la permeavano, molto ma molto lentamente,
lasciando costantemente aperta la porta del dubbio, che non e’ invece una
situazione comoda.
Tutto ciò rende il mio qui e ora particolarmente difensivo,
in una costante opera di rimbalzo di coloro che cercano di entrare senza
sufficiente chiarezza.
Mai nessuno mi si e’ avvicinato dicendo “dobbiamo parlarti
di una cosa seria”.
Sempre solo allusioni, giochi di parole, doppi sensi e così
via.
Siete tutti pusillanimi del verbo, codardi del Logos.
Così non passerete mai.
Sono ragionevolmente certo che esista un disegno, e quindi
una ragione per tutto ciò.
Ma il fatto di riconoscere lo schema, non vuol dire governare
il processo.
E quindi sta di fatto che, ancora una volta devo
constatare che “e intanto io pago”.
Di seguito si trova un esemplificazione in versi di questo
concetto della interconnessione comunicativa trasversale.
La quadriglia del
Raro – Scritta per Rari & Venti
Impigliati
nella quadriglia,
rotolando
come biglie,
chi
si lascia chi si piglia.
si
sgroviglia la squadriglia.
E’
la danza delle realtà.
Sei
un po’qua e sei un po’ là.
Prima
vivi con occhi tuoi,
dopo
vedi dal parco buoi.
Siam
bovini niente male,
tutti
attorno in un frattale,
come
mandria pari a pari,
ma
in filari circolari.
Ogni
volta che incrociamo,
come
navi militari,
un
legame stabiliamo,
con
le bombe per neuroni.
Son
parole, occhi e suoni,
che
usiamo come tuoni;
col
rimbombo nella testa,
apri
un’anta da agonista.
Il
linguaggio di noi rari
e’
piuttosto doppio meta,
che
va oltre, ed ha uno scopo,
e
si diffonde come esempio.
Che
si avvisti meraviglia!
Che
si svegli il dormiveglia!
E’
arrivata la squadriglia,
di
parole una guerriglia.
Parte
in testa raro uno,
due,
tre e quattro fanno scudo,
poi
si gira la quadriglia,
scende
in campo il cinque e sei.
Non
potrete mai beccarli.
Non
saprete chi e’ che guida.
Non
perche’ siete ignoranti,
ma
perche’ si guida a turno.
E
siccome siam tra pari,
non
vedrai sequenza alcuna;
quando
meno te lo aspetti,
ci
si passa il testimone.
Chi
e’ malato di comando,
si
vedrà nel sociodramma,
dove
i rari sono specchi,
che
rifletton di sottecchi.
Dal
di fuori e’ ancora cripto;
il
linguaggio trans-versale,
nasce
da interconnessione,
rimbalzando
ai terminali.
La’
nascosti tra boscaglia,
nella
jungla delle idee,
tutti
in maglia, siam pattuglie
puoi
doparti, siam pastiglie.
3.5 Educato di borghesia, evoluto revoluzione
Io sono comportamentale.
Io sono misura.
Io sono Revoluzione.
Sono tutte definizioni che mi sono attribuito,
argomentandole nei vari contesti.
L’intento era riferirmi a come mi comporto e perche’ lo
faccio, con la volontà di essere d’esempio e di spiegazione.
Quindi e’ per voi, sia affinche’ risvegliate la coscienza sia
affinche’ mi conosciate per via diretta e non tramite qualche misinterpretazione
fornitavi da altri terzi manipolatori
Ma rimane sempre la stessa questione: “si, ma se non frega
un cazzo a nessuno, a me che cazzo me ne frega?”
Sulla vita pratica, tutto ciò e’ in larga parte questione di
sostituire il paradigma vigente della “Cultura del più”, con una nuova
prospettiva che io chiamo “Cultura del meno”.
E’ solo un’operazione algebrica, in fondo.
Basta scendere dalla ruota di criceto di cui più avanti per
rendersene conto.
Si tratta di mettersi in condizione di vivere almeno un po’
più vicini all’esercito dei perdenti del mondo, per vedere l’effetto che fa,
per capire come ci si sente e come si sopravvive.
E soprattutto per liberarsi dai vincoli imposti, che ci
intossicano dando un’immagine deviata di cosa e’ buono, il più, e cosa non lo
e’, il meno.
Sono convinto che tutta la mia educazione e formazione
borghesi, avessero il preciso scopo di deviarmi, ammorbidirmi, assuefarmi, rendermi
dipendente, nei confronti di una fetta di quei soggetti, gli abitanti del
sopramezzo di cui più avanti, che rendono questo mondo un brutto posto in cui
vivere. E ciò a prescindere dalle loro origini.
Se mi avessero manipolato a dovere, nelle loro teste, sarei
rimasto in un comodo territorio di sudditanza nel quale sarei stato gestibile.
E ci si sono messi di impegno, anche con progetti pluridecennali di ampio
respiro.
Li vedo chiaramente, tutti quelli che credevano di farsi i
cazzi loro e di potere aspettarsi qualcosa indietro per il solo fatto di essere in mio contatto. Questo
e’ il codice per tutti loro: non c’e’ nessun privilegio.
E così, almeno per ora, non ce l’hanno fatta.
E questa constatazione mi produce un reiterato giramento di
balle, che durerà fino a che non vedrò qualcosa di tangibile cambiare a questo
mondo.
Questo mondo e’ il migliore che sia mai esistito, lo ripeto
sempre.
Ma questo mondo e’ anche un bel cesso, dove l’essere umano
assatanassato ci mette lo zampino.
Tanti si chiedono perche’ io me ne preoccupi.
“Che ti frega” mi chiedono.
Quelli che lo fanno, non rientreranno mai nella mia
personale classifica di soggetti intelligenti.
E sono tanti.
Ma più passa il tempo, più si fa ingombrante la domanda che
mi faccio da solo: “si, ma se non frega un cazzo a nessuno, a me che cazzo me
ne frega?”.
3.6 Esisteva un’altra via. E io non mi sarei detto così tante volte : “e io pago”
Tra i tanti che si avvicinano intrisi di sensi e fini doppi,
a me così evidenti ma forse non a loro che credono di essere furbi, ci sono
quelli che rilasciano una parola ogni tanto per vedere l’effetto che mi fa.
Un progressiva rivelazione goccia a goccia dall’effetto
snervante.
Voglio dire solo una cosa a chi si giuggiola nella
convinzione di avere ottenuto un accesso a una qualche mia gestibilità.
So già che risponderanno che non potevano, e non possono,
fare altrimenti.
Ma invece, ammettendo che siano intelligenti, e’ bene che
ricordino che esisteva un’altra via.
Esiste sempre.
Bastava spiegare.
3.7 Il senso compiuto e il senso vietato
In queste perverse modalità di comunicazione, dove non c’e mai
un senso tutto compiuto, esistono solo due opzioni:
- o c’e’ cretinismo,
- o c’e’ manipolazione.
La terza via non e’ dato conoscere. Ne’ può essere
soddisfacente un classico “funziona così”.
Al tempo stesso, dove c’e’ persistenza nella devianza, ecco
la prova empirica di questo assunto.
Preso un numero n grande a piacere, il numero dei cretini
che incontrerete sarà sempre maggiore di n.
Ecco cosa e’ il senso vietato : divieto di transito per chi
si crede intelligente e invece non lo e’.
L’Inappco, lo chiamai tempo addietro.
Il pensiero non e’ cosa per tutti.
E chissà mai che con tutta la scienza e la tecnologia in cui
siamo in infusione, tra cui l’urbanistica di idea, non si attivi anche qualche
divieto permanente di circolazione a chi inquini troppo il mare della
conoscenza con le sue idee del cazzo.
3.8 Il decimo vizio capitale. Rompere i cugghini si manifesta in sarcasmo, sfottò e sufficienza
Scrissi tempo fa che rompere i cugghiuni e’ il decimo vizio
capitale.
Libertà era l’ottavo e Conoscenza il nono.
Rompere i cugghiuni e’ una chiara manifestazione di asincronia
dell’io, che fa girare su se stesso il decimo vizioso.
Alcune sue evidenti manifestazioni sono le seguenti.
1. Il
sarcasmo: forma povera dell’ ironia, intrisa di aggressività, tipicamente
propria del cretino che non ha la sensibilità per essere ironico.
2. Lo
sfottò inopportuno: e’ l’essere Inappco, indebito appropriatore di conoscenza,
sempre proprio del cretino. Molti cadono in tentazione quando gliene offro
l’occasione e si trastullano a prendere in giro senza capire di essere appena stati
misurati e banditi.
3. La
sufficienza: anche essa propria dell’Inappco, che crede di sapere e non sa
niente perche’ non ha il quadro complessivo. Oppure, ancora peggio, la
sufficienza rientra nei canoni della minimizzazione, la quale e’ una precisa
tecnica di manipolazione.
Tutte queste sono forme del decimo vizio.
Ma il concetto del decimo vizio e’ anche una parafrasi per dire “non pensare, non e’ cosa per te”.
“Se ti ci azzardi, fai solo un casino e finisci per rompere
i cugghiuni”
Chi continua a non capire cosa faccio e perche’ lo faccio, o
crede di capirlo ma ragiona in proiezione delle sue categorie, quasi
inevitabilmente deriva in uno dei casi soprastanti.
Sono tutti sintomi di scarsa capacità di pensiero.
Dovrebbe evitare di credere di pensare.
Perche’ la realtà e’ che non lo sta facendo.
Lavorate, non pensate, che c’e’ chi lo fa per voi, e molto
meglio.
I have a dream.
Forbidden thoughts.
Don’t mind thinking if
no thinking is in your mind.
Infine, non continuate a dare per scontato che non
succederà.
Arrivera’ un giorno che mi incazzerò, e allora ve ne accorgerete.
E questa e’ la mia consolazione.
3.9 Parusia e tecnologia
Deriva dal termine greco parousía, che significa
"presenza"[1] e indica
in generale la presenza del divino, o dell'essenza ideale, nel mondo materiale.
Nel cristianesimo per "seconda venuta" si
intende un evento nel quale, a un certo punto della storia dell'umanità, Gesù si manifesta
nuovamente e pienamente per portare a compimento la redenzione del mondo; suoi
sinonimi sono "secondo avvento" e "parusia".
Nella teologia cristiana attuale si sono aperte diverse
prospettive che si riflettono sul concetto di seconda venuta. In una di queste
la seconda venuta non sarebbe un evento conclusivo, che accade all'improvviso
simultaneamente per tutta l'umanità, ma un processo di compimento della storia
dell'umanità.
Secondo un'altra prospettiva il giudizio finale costituisce
un momento di effusione di "amore misericordioso e salvifico",
perdendo le caratteristiche intimidatorie della pastorale tradizionale, e la
seconda venuta, pur restando un evento conclusivo della storia, diventa
l'inizio di questa fase.
Oggi noi sappiamo che sono in corso enormi rivolgimenti in
ambito scientifico.
In un futuro non troppo lontano, porteranno progresso, salute
e grandi cambiamenti di vita.
Un giorno non ci sarà più fame, ne guerre, non si lavorerà più
come oggi, non esisteranno i soldi come li intendiamo oggi. E chissà cosa
altro.
Sono coinvolte biogenetica, nanotecnologia, chimica, fisica
avanzata, astrofisica, robotica, intelligenza artificiale e così via.
Su tutte queste si innesta questa mia predicazione
informatizzata e ad alto tasso tecnologico, che permette al pensiero di
arrivare nei subconsci, attivando a sua volta altri pensieri di chi ospita il
pensiero padre.
In principio fu il verbo.
E il verbo era sia parola che pensiero.
Lògos.
Vocabolario Treccani on line. Lògos sostantivo maschile. Traslitterazione del
greco λόγος, che è dal tema di λέγω «dire», con vocalismo o. Nel pensiero
greco, il termine indica la «parola» come si articola nel discorso, quindi
anche il «pensiero» che si esprime attraverso la parola.
Una certa predicazione, dunque, si innesta, ma non e’ mica
la panacea.
E’ solo una piccola parte di quello che sta accadendo; e’ la
porzione divulgativa, per così dire.
Forse la panacea sarà proprio l’economia, intesa come
strumento per condividere tutta la “manna dal cielo” che, metaforicamente o no,
ci sta piovendo addosso.
O forse saremmo talmente evoluti che l’economia non servirà
nemmeno più.
E vivremo come le giovani ermellotte di : 2015 12 08 - Canzone d'amore per Natale
Pensiera - L'ermellotta sincronizzata e
l'aquila astigmatica.doc
Per ora e’ importante non smettere mai di capire.
3.10 Resta da vivere degnamente. Spezza la catena del valore. Fa’ che il valore si scateni.
Adesso, sia per riposarmi sia per ricondurre tutto e tutti
ad un piano di realtà, voglio scrivere del mondo della civiltà materiale,
cercando di riconnettere molti aspetti già trattati.
Mi hanno spiegato che quello che penso, vedo o sento,
viaggia tra subconsci, ragione per la quale molti mi conoscono o riconoscono, e
a volte io conosco e riconosco loro, senza che ne siamo propriamente
consapevoli.
Ci guardiamo o ascoltiamo con quella fastidiosa e
persistente sensazione di dejà vu, che se siamo fortunati diventerà chiara solo
dopo almeno una giornata, e relativo ciclo di sonno.
Seguono quindi alcuni racconti, sia di livello generale sia
più specifici, su aspetti di vita pratica.
Anche se c’e’ chi ci condiziona, dobbiamo esercitare il
libero arbitrio.
La rivoluzione tecnologica non risolverà tutto e subito.
Per cui ricordiamoci che
“n paraviso s’adda faticà”.
E nel qui e ora, e’ importante, tra le altre cose, che
riconosciamo la
Catena del Valore quale processo lungo il quale il famoso plusvalore si
aggrega nelle mani di pochi.
Dove esso si aggrega, lo fa a danno della efficiente
allocazione delle risorse.
La quale efficiente allocazione delle risorse e’ principio
dominante universale.
Questa dunque e’ la “Revoluzione delle farfalle di
sopramezzo.”
Questo e’ dunque l’ invito che rivolgo:
“piccoli gesti
quotidiani per bloccare l’appropriazione del plusvalore”
4 Racconti a pop-up. Snapshots di weltanschauung e di ontologia sulla civiltà materiale
Avrei voluto scrivere un romanzo. Ho sempre desiderato farlo
Ma dopo molti tentativi ho capito che non potevo.
Non si può fare un romanzo sui temi di cui scrivo oggi, o
farlo sarebbe fuorviante. Almeno per ora.
La parola e’ lenta di per se’, scritta ancora di più, ma in
un romanzo si perde ulteriore nel flusso di una storia che si sviluppa da un
inizio a una fine, dimentica dai mille rivoli e gorghi e diramazioni che fanno
parte del concetto totale di flusso.
Stiamo parlando del modo di intendere la vita o relativo
“tutto fluente”, il quale e’ fatto, per l’appunto, di mille anse e pozzanghere,
ulteriori rispetto al nostro comodo qui e ora, più o meno ristagnanti che
sembrano insignificanti davanti al maestoso e a volte impetuoso corso del
fiume, ma nelle quali invece e’ quello stesso fluire che si ferma per
concedersi possibili sentieri alternativi. E’ nell’ansa che nasce una colonia
di girini, o si schiude uno sciame di zanzare, o germogliano piante e fiori
dalle infinite forme.
Ragione per cui alla fine ho optato per una successione di
racconti, ognuno con un capo e una coda, ma tutti collegati dall’essere immagini,
o forse piccoli video, parte del grande corso.
Sono le snapshots a pop-up del titolo.
Tutti insieme contribuiscono a meglio definire una “Weltanschauung”, già
affacciatasi in tutti gli scritti precedenti, circoscrivendola a fenomeni di
vita pratica.
La Weltanschauung, citando Wikipedia, “e’ una cosa che tende a trovare una
collocazione in un ordine generale dell'Universo specialmente in senso
filosofico, ma il concetto è stato utilizzato anche in riferimento a elementi
di specie, geografici, linguistici e razziali”.
“Pertanto, si tratta di un concetto che trascende il singolo
e attinge nel collettivo condiviso, e l'uso di questo termine nel linguaggio
italiano al posto di "visione del mondo" ha il significato di
estendere il concetto a una dimensione sovrapersonale di un determinato punto
di vista”.
“Carl Gustav Jung ha, nei suoi numerosi scritti,
fatto molto uso di questo termine per descrivere la profonda trasformazione
degli individui allorché in essi cambia la Weltanschauung e come, al
contrario, senza cambiare la Weltanschauung diventi spesso impossibile
ottenere una reale soluzione alla personale sofferenza psicologica, con ciò
significando che spesso per l'individuo è salvifico riunirsi alla parte di sé
che ha radici collettive di appartenenza, di specie, di razza e religione e
al contempo prendere le distanze dall'ego
ristretto e confinato al qui ed ora”.
Siamo sempre nel campo dell’ontologia : costruiamo un
ambiente dentro cui dislocare l’intelligenza già in interconnessione di rete.
Abbiamo iniziato il processo di costruzione esplicita della
nostra ontologia, sia in
senso generale che di informatica, quasi un anno fa.
Il percorso di costruzione implicita, invece, e’ in cammino
fino da decenni prima.
In quello esplicito, abbiamo percorso i passaggi qui sotto
riassunti.
6
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5
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4
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3
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2
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1
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Siamo partititi dai massimi sistemi della miniguida alla
Civiltà dell’Intelletto, la “Lecca semantica”, dove ci siamo focalizzati su economia,
interconnessione, tempo, evoluzione, cultura e civiltà.
Siamo passati per sentieri di pratica come ne “il migrante che
e’ portante” e nell’”odissea del pedagogo”.
Siamo arrivati a popolare l’ontologia di umanità, nella
Filastrocca Epilecca.
Abbiamo messo in guardia dalla manipolazione, del singolo o di
massa, che impedisce alle coscienze di evolvere nella di se’ trascendenza.
E abbiamo dato l’idea dell’evoluzione verso il regno dei peli
qua giù in terra con le vicende della montagna delle ermellotte.
Adesso ci concentriamo sulla civiltà materiale del
mondo che stiamo percorrendo in questo nostro adesso.
Ma prima dobbiamo fare una premessa su di un tema spinoso: la
difficoltà di distinguere cosa sia vero e cosa sia illusione che spesso ci
attanaglia, frutto dei danni dell’opera di tanti “Voi che non siete pronti”.
5 Illusione e realtà : lo scoiattolo e i fili d’erba dei molti versi
In
quel mentre, detto mentre di ogni mentre, uno scoiattolo cercava
in ogni filo d’erba l’altra
via per stabilire un nesso permanente per la mente tra illusione e realtà.
Nel suo mentre, sorvegliava furtivo di sottecchi un
neuroscensato, orgoglioso della scoperta che la montagna computava nella testa
di qualcuno, bevendo calvados in sua ignara compagnia.
“Diffida dei tecnici”, pensava. “Si innamorano della tecnica e
perdono di vista l’insieme del tutto”.
Un filo d’erba, in quanto ogni filo d’erba, gli rispose
stigmatico: “Si, e’ così”.
Si guardarono senza bisogno di sguardi e mormorarono
all’unisono del silenzio: “tutto nacque da un battito d’ali di una farfalla,
perso in quello stesso vuoto dove io cesso il mio adesso”.
“Nell’adesso che non c’e’ più tu sarai nella chiarezza.”
“Non cercare la coscienza, troverai solo errori nell’ammasso
d’energia.”
“Respira la coscienza nel fremito del vento di tutti i
pensieri, e volerai tra i battiti delle sue ali.”
E conclusero, parafrasando un certo raro tutti in coro : “anche
in montagna la vita e’ un grande fiume”.
Ciò fatto, lo scoiattolo sentì un certo languorino, e restò un
po’ irritato da tutto quel filosofeggiare che aleggiava nell’aria a cavalcioni
di tutti i pensieri.
“Si, vabbe’. Ma io qua devo mangiare.” Pensò.
“La finite, un po’, o no, di giocare ai dislocatori di
neuroscensazioni?” , si disse senza sapere bene cosa volesse dire eppur capendo
bene che qualcosa volere dire, e si che lo voleva.
Afferrò al volo una importante verità, carpita tra i crampi
del suo panciotto cucitogli addosso senza bottoni : “se ti trovi sull’altalena
del dubbio tra illusione e realtà, ascolta la tua pancia”.
“La fame non mente”. “E la pancia nemmeno”. Così si disse.
Si mise a ricordare come aveva sconfitto la gravità, della
situazione e anche della fisica, quel
lontano giorno in cui il suo archetipico antenato delle rivelazioni
in quota, conosciuto come “pancia bianca”, era riuscito a mangiare semi da
uccello contenuti in una diavoleria di marchingegno plastico, appeso a un ramo di
una qualche umana concezione.
Era riuscito, capovolgendosi a testa sotto tenuto appeso al
giusto ramo solo dalle sue unghie delle zampe posteriori, a ravanarsi nella sua
boccuccia un’abboffata di gusto, e anche di giusto, piena di ben meritati semi.
Quella volta si.
Ma qui stavolta non c’erano alberi ne semi. Solo tanti fili
d’erba, molti dei quali già aquile in versi lontani.
Lo scoiattolo si sconfortò. E si mise a guardare il panorama.
Si alzò un refolo di vento montano.
Un’aquila renata di nascosto dentro al suo filo d’erba,
fremette al brivido del vento.
Allo scoiattolo rabbrividì tutta la pelliccia, e senza che lui
sapesse perche’ guardò un filo d’erba sul quale stava acquattato.
Un raggio di luce gli colpì l’occhio dentro al quale gli venne
scolpita una vista.
Lo scoiattolo si vide volare a cavalcioni di un’aquila
gemella, volteggiando su quello che allo scoiattolo sembrò il paradiso.
Infiniti incommensurabili prati di ghiande ondeggiavano al
vento come fili d’erba, e a ogni ondeggio producevano vibrazioni sonore fatte
apposta per fare da richiamo agli scoiattoli di ogni dove, ad una frequenza che
solo lo scoiattolo poteva udire.
Nessun predatore veniva convocato all’ipotetico banchetto di
rimando, organizzato come seconda battuta dell’abboffata dello scoiattolo, che
in quell’occasione si sarebbe ritrovato all’altro capo di quel brandello di
catena alimentare. Era così che tale banchetto di rimando restava solo una
lontana paura nelle menti degli scoiattoli stessi.
“Questo e’ il paradiso” pensò giustappunto lo scoiattolo.
Di nuovo si affacciarono i dubbi su illusione e realtà.
“Se questo e’ il paradiso, allora io sono morto”, pensò.
E appena ciò pensato, si rialzò di soprassalto da un sonno
profondo, in un risucchio verso il qui e ora dove capì di trovarsi allora.
Guardò fuori dalla finestra. Vide una distesa sconfinata di
ghiande.
Cercò di afferrarne una, ma si addormentò all’istante.
Sognò un prato diverso, ma sempre ugualmente pieno di ghiande.
Cercò di afferrarne una, ma si svegliò di soprassalto un’altra
volta.
Ebbe la netta percezione di essere sospeso in un limbo, dal
quale veniva catapultato di qui e di la ogni volta che cercava di afferrarlo in
una qualche sua parte.
Gli venne in mente quel suonatore di montagne, che con le sue
rivelazioni in quota aveva tramandato alla sua vallata la leggenda del “c’e’
sempre un’altra via”.
Convinto che dovesse esserci anche per lui, si disse : “che
cacchio di gioco e’ ? Mi fate vedere un altro prato verso e appena cerco di
andarci mi svegliate o mi riaddormentate”.
Senti distintamente una ridacchiatina veicolata tra le onde di
una qualche radiazione
cosmica di fondo.
Nel sogno riflette’ su questa ondivaga immensità, dalla vaga
natura cazzimmosa, che tutto compenetrava.
Fu troppo.
Si disse : “quando e’ troppo e’ troppo. Ho fame.”
Si alzò coi suoi occhietti impiastricciati per andare al
frigorifero a sgranocchiare una ghianda, ma il frigorifero non c’era più.
Gli sembrò una cosa normale, in effetti, perche’ non ricordava
di averne mai visto uno nel bosco, il quale era tutto un grande frigorifero già
da se’
Poi si rese conto di essere in un appartamento da umano, e
questo gli sembrò già molto meno normale.
Pensò a quel neuroscensato che dislocava neuroscensazioni.
Si chiese se non avesse fatto confusione nella dislocazione.
Dopodiché si immaginò ad occhi aperti mentre rosicchiava la
più succulenta delle ghiande giganti mai sognate in vita sua.
Ma mentre lo faceva, la ghianda si scioglieva in miriadi di
frammenti di verdi binari tra le sue manine a zampetta.
Realizzò di non avere più fame.
“Sarà vero o no ?”
Si ricordò di ascoltare la sua pancia.
Quella gli disse: “torna a dormire”.
“Chissà dove tornerò”, pensò lui.
Si addormentò in un prato di ghiande giganti.
E sognò il ricordo di non avere più fame.
Al risveglio si chiese se avesse veramente mangiato in qualche
altro verso παρά
ἄλληλος, termine che ricordò di
avere vagamente percepito in una discussione immaginaria con un certo umano con
lo zaino arancione in alcune favolose lezioni di greco antico.
E si ricordò un ricordo di qualcun altro, nel quale quella era
parola composita di παρά «presso, lungo» e ἄλληλος «l’un l’altro», addirittura multisensata in 10
differenti opzioni.
Al riguardo del verso della fame, eppure a proposito, si chiese
anche se le sue neuroscensazioni avessero ricevuto una qualche forma di soddisfazione
virtuale.
Mentre rifletteva, si accorse di avere di nuovo una sensazione
di qualcun altro.
Capì di avere di nuovo una fame bestiale.
Anche se la sua coscienza aveva volato tra versi paralleli,
quel suo corpicino da piccolo avatar sanscrito era
rimasto in quel verso li.
Si chiese come mai conoscesse il sanscrito e cosa
c’entrasse quella faccenda della reincarnazione.
Si chiese anche se ci fosse un legame “decale”, tra i 10
paralleli e la reincarnazione, visto che questo tale Visnù sembrava avere
un predilezione per la reincarnazione in numero di 10.
In tutto quel ragionare, si rese conto di ragionare a
sproposito, perche’ nel bosco degli scoiattoli il problema della fame non
esisteva.
Capì che nel suo bel bosco degli scoiattoli doveva avervi trovato
anche del buon senso in sovrappiù, il quale gli aveva permesso di rammaricarsi all’idea della fame di altri
mondi diversi dal suo, fame che aveva avuto il privilegio di potere
sperimentare sulla sua pelliccia.
Si chiese cosa stessero facendo a quel proposito tutte le
divinità che popolavano tanti mondi.
Per un attimo credette di avere trovato la soluzione a quel
problema, avendo immaginato un travaso a vasi comunicanti multiversali tra chi
aveva troppa fame e chi aveva troppo cibo.
Ma alla fine aveva capito una profonda verità.
Tra neuroscensazioni e psicopippe la fame non ve la togliete.
Forse con qualche nuova tecnologia.
Forse con un po’ di buon senso.
Forse con la Normale distribuzione.
Ma cercate di darvi una mossa, pensò traboccante di buon
senso, che ogni istante di inerzia costa un morto.
E si riaddormentò con la certezza che questa fosse una verità
senza possibili illusionismi.
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